Meglio l’italiano o l’itanglese?

Meglio l’italiano o l’itanglese?

La proliferazione delle parole inglesi, negli ultimi decenni, ha assunto proporzioni inedite che hanno delle conseguenze non solo sul nuovo italiano del Duemila, ma anche sulla sua comprensibilità. In molti ambiti il cosiddetto “itanglese” assume talvolta la funzione del latinorum manzoniano, e in altri casi rischia di essere divisivo o di trasformarsi in un’antilingua che crea barriere sociali e fratture generazionali. Le linee guida qui proposte puntano a delineare un modello di comunicazione trasparente in cui – quando ci si deve rivolgere a tutti – l’uso degli anglicismi sia finalmente normato, come è stato fatto sul fronte del linguaggio non discriminante o della femminilizzazione delle cariche. Le indicazioni nascono da una sintesi delle regole auree del giornalismo, da ciò che è stato promosso in Italia dal Gruppo Incipit dell’Accademia della Crusca, ma anche dalle analoghe iniziative avviate in Francia, Spagna o Svizzera, dove le raccomandazioni in proposito sono state ufficialmente diramate dalla Cancelleria Elvetica. Più che bandire le parole inglesi, in sintesi, per non escludere nessuno è necessario riflettere sul loro uso consapevole.

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